richiesto
da P. Gianasso, ho inviato quanto segue, per finalità credo di avere contributi
per la sistemazioni del castello di Quero. Ma ciò non mi interessa più di
tanto.
Egli mi
chiedeva anche, facendo riferimento alla serie di conferenze che si terranno a
Feltre, il 4 giugno, di cui già ti ho parlato, di approntare una relazione da
parte di noi Somaschi, che illustri le ragioni e le finalità che ci prefiggiamo
con la celebrazione del prossimo centenario.
Io credo bene
di passare a te questo compito, di stendere breve nota del tutto e di inviarlo
sempre la P. Gianasso ( anch'io sarei interessato ad averla ), senza ritardi,
anche se, mi sembra, non ha fissato precisa scadenza temporale.
Stammi
bene.
p. Secondo
Nel 1511 la fortezza di
Castelnuovo di Quero ormai datava ben duecento anni e più anni di antichità.
Del tutto fuori … uso dovremmo riconoscere, del tutto superata, per i progressi che si erano registrati in fatto
di conduzione di guerra.
Ma, poiché la strada, che unisce
Feltre a Treviso, rappresentava un passaggio obbligatorio per l’esercito
tedesco, nel tempo della lega di Cambrai, nel 1511 vi fu mandato Girolamo
Miani, che doveva in effetti solamente sostituire il fratello Luca, eroicamente
comportatosi all’assedio della Scala, fortezza sulla strada tra la Val Sugana e
Feltre, rimasto strupiato del braccio destro.
Da Montebelluna il 28 agosto
1511, cioè dall’accampamento francese, si inviò verso Feltre Mercurio Bua con
300 uomini a cavallo, per garantire all’imperatore Massimiliano II un arrivo
senza sorprese ed un facile ricongiungimento con i nemici di Venezia. Si sapeva
bene che qualunque occasione gli avrebbe offerto un pretesto per ritornarsene
in patria.
Il castellano di Quero, Girolamo Miani,
venticinquenne, forte solo della presenza di 45 soldati, in buona parte
provenienti da Belluno ( di una ventina si conoscono i nomi ), guidati dal
capitano feltrino Vettore del Pozzo, non permise a Mercurio Bua il passaggio
verso Feltre.
Con tanti anni di anticipo si sente quasi
il presagio del famoso … Non passa lo straniero!
Quindi non ci meravigliamo se qualche suo
biografo, secoli dopo, chiamerà Girolamo Miani, l’eroe del Piave. Il suo
più vero eroismo lo dimostrerà su ben altri fronti, ma, alla sera di quel 8
agosto 1511, vide tutti coloro che avevano combattuto con lui fino all’estremo
pagare il prezzo della libertà e dell’amore di patria: tutti tajà a pezzi.
Risparmiati, perché di essi si aspettava
un eventuale riscatto, Paolo Doglioni, Vettore del Pozzo: il loro riscatto
arrivò quasi subito.
Per Girolamo Miani, veneziano, il
personaggio per cui, in ducati, ci si aspettava di più, non arrivò da
parte della Signoria di Venezia, attaccata ovunque. Proprio un bel … niente!
Anche se egli, come ci dicono le
testimonianze, quasi di giornata, si era comportato tanto eroicamente, dovrà
aspettarsi l’aiuto, solo dal … Cielo!
Profilo biografico di San Girolamo Miani
La prigionia di Girolamo Miani a Quero,
la sua liberazione grazie all’intervento della Madonna rappresentano sempre un
passaggio meraviglioso per ognuna delle tantissime biografie del Santo. Presto
giungerà anche dagli USA il risultato di studi di un professore universitario
che ha indagato sul Quarto Libro dei Miracoli, manoscritto nel 1531,
conservato nella Biblioteca Comunale di Treviso. Quero e Treviso con il
Santuario della Madonna Grande divengono facilmente il trampolino di lancio
nella esperienza di Girolamo Miani, che all’inizio della sua carriera non poteva
subire una debacle più umiliante.
Ma nella vita del Santi, lo sanno anche
coloro che non hanno una grande famigliarità con simili letture, la carriera la
si fa quanto si scende in campo sul fronte della carità, a 360 gradi, amando
gli altri, specialmente gli emarginati, gli ultimi, come se stessi.
E così fu per il Miani. Nel 1528, peste
terribile a Venezia: Egli prende si cura dei ragazzi che non hanno più nessuno
che pensi a loro. E, per quella carità che egli ci dimostra, i
responsabili dell’Ospedale degli Incurabili, cioè non accolti in nessun altro
ospedale cittadino, lo chiamano alla direzione di questa straordinaria
iniziativa: erano affetti del mal francese, napoletano come dicono i francesi,
di sifilitici, maleodoranti, coperti di piaghe dalla testa ai piedi.
Ma lo chiamano ad essere incendiario di
simili opere a Bergamo, a Verona, a Brescia, a Milano, a Como, a Pavia.
Osannato come un santo, nella sua disarmante umiltà dichiarerà sempre di voler
vivere e morire con quei fanciulli ( di nessuno ) che il Signore gli ha
affidato.
Alessandro Manzoni, alunno dei Padri
Somaschi, scriverà di lui che metteva nell’educazione di quei ragazzi (
di nessuno ) lo stesso orgoglio che un nobile mette nell’educazione del
figlio re.
A Somasca, dove muore l’8.2.1537, fondò
la Congregazione dei Padri Somaschi perché continuassero la sua opera. Come
recita un inno in suo onore, lasciò degli eredi della sua straordinaria
missione. Ed i Somaschi operano attualmente, sotto la sua protezione, ovunque.