Cippo confinario tra la Serenissima e l'Impero (passo S. Pellegrino - Zingari Bassi)
Atlante, nella mitologia greca, era un gigante che reggeva la terra sulle spalle; in seguito il termine prese a indicare gli strumenti della descrizione - particolarmente geografica, ma non solo - del globo. L'Italia e' stata tradizionalmente ricca di realizzazioni fisico-geografiche, ma povera di carte storiche, forse a causa della sua prolungata frammentazione politica; il fenomeno perdura tuttora, nonostante si siano verificati, soprattutto a partire dall'unificazione della Penisola (1861), ripetuti tentativi di dotarsi di questi efficaci strumenti conoscitivi, seguendo il modello di altri paesi come la Francia, la Germania, l'Inghilterra. L'ultima grande prova risale agli anni Sessanta del secolo scorso, sotto gli auspici della "Societa' degli storici italiani" e col finanziamento del C.N.R.; titolo dell' opera era Atlante storico italiano, strutturato in quattro volumi di 100 tavole ognuno (le tavole, a loro volta, potevano essere suddivise in piu' carte, rivolte ai vari Stati); questi quattro volumi erano dedicati rispettivamente alla storia antica, alla medioevale, alla moderna e infine alla contemporanea (si vedano in proposito il quadro storiografico e la traccia programmatica delineati da Lucio Gambi in occasione del I Congresso nazionale di Scienze storiche, tenutosi a Perugia nell'ottobre 1967, e pubblicato qualche anno dopo col titolo Per un atlante storico d'Italia, in L. GAMBI, Una geografia per la storia, Torino 1973, pp. 175-196). Ma non se ne fece nulla; per l'eta' moderna ci resta una sorta di bilancio dei lavori propedeutici intrapresi, pubblicato col titolo: Problemi e ricerche per l' Atlante storico italiano dell' eta' moderna. Atti del Convegno di Gargnano, 27-29 settembre 1968, a cura di M. Berengo, Firenze 1971.
La presente realizzazione intende rifarsi a tale impresa, ma con piu' contenute ambizioni, presentando un essenziale supporto cartaceo corredato da ipertesto interattivo con elementi multimediali; in altri termini, ci si limita a proporre un Atlante storico che fotografi la realta' politico-amministrativa della Serenissima alla vigilia della caduta, verificatasi - come e' noto - nel 1797.
Piu' precisamente si e' scelta come data quella del 1790, in considerazione del fatto che: 1.possiamo valerci, come modello cartaceo, della - peraltro ormai rarissima - Carta politico-amministrativa della Patria del Friuli al cadere della Repubblica Veneta, realizzata dai geografi G.L. Bertolini e U. Rinaldi (con saggio storico di P.S. Leicht) e pubblicata a Udine nel 1913 a spese della Societa' Storica Friulana; 2.nel 1789 viene compilata l'ultima delle Anagrafi Venete, rilevazioni statistiche quinquennali iniziate nel 1766 ed estese a tutti i dominii della Serenissima. Pertanto si dispone, per ogni ripartizione amministrativa (province, comunita', giurisdizioni feudali), del numero di abitanti maschi e femmine divisi per eta' e professione, degli insediamenti artigianali e industriali (mulini, segherie, magli, fornaci ecc.), degli animali bovini equini ovini.
Come si e' detto, oltre al materiale cartaceo (rappresentazione politico-amministrativa), si propongono sette descrizioni cartografiche fruibili mediante digitalizzazione:
1. Fisica. La geografia di allora non era quella odierna: v'erano laghi oggi scomparsi (Vighizzolo, Ponso, Anguillara), il delta del Po era meno esteso, sussistevano ancora molte zone paludose (Valli grandi veronesi, litorale adriatico da Cavarzere a Grado), la laguna di Venezia presentava un paesaggio notevolmente diverso: ad esempio, non esisteva il litorale di Punta Sabbioni. Successivi link aprono nuove carte con illustrazioni dei principali boschi demaniali (Montello, Cansiglio, Caiada ecc.: all'incirca una trentina, data l'impossibilita' di riportare gli oltre 700 boschi pubblici e riservati presenti nel Veneto); dei distretti minerari (Valle Imperina, Gares, Schio, Monteviale ecc.); dei maggiori insediamenti protoindustriali, presenti soprattutto nell'alta pianura e nella fascia prealpina, dal Bergamasco alla Carnia passando per Schio, Bassano, Ceneda e poi su fino a Tolmezzo.
2. Ecclesiastica. Attorno alla meta' del XVIII secolo i confini delle diocesi venete subirono modifiche, quasi sempre a scapito degli antichi diritti della Serenissima: i casi piu' clamorosi furono l'abolizione del prestigioso patriarcato di Aquileia, la cui giurisdizione spirituale si estendeva sino alle terre arciducali, alla Slovenia e alla Carinzia; in seguito alle pressioni dell'imperatrice Maria Teresa, il patriarcato venne soppresso e sostituito (1751) dall'erezione di due autonome sedi arcivescovili, a Udine e a Gorizia, ognuna avente competenza sulle parrocchie appartenenti rispettivamente allo Stato veneto e asburgico. Anche la diocesi di Feltre subi', nella circostanza, un notevole ridimensionamento, mentre per l'addietro la sua giurisdizione spirituale giungeva sin quasi a Trento, in territorio imperiale. Si tratto' comunque, eccezion fatta per il patriarcato di Aquileia, di modeste rettifiche.
Nella carta sono riportati i confini delle diocesi, con i nomi dei vescovi allora titolari. Molte e notevoli le differenze rispetto alla situazione attuale: la diocesi di Padova, ad esempio, non godeva di continuita' territoriale; ancora, nella laguna di Venezia erano presenti ben cinque diversi vescovati.
3. Politico-amministrativa. Nell'ultimo secolo della sua esistenza, la Serenissima non fu interessata da significative modifiche ai suoi confini politici, perlomeno sul versante italiano; rilevanti mutamenti si verificarono invece nell'area balcanica.
Due parole di spiegazione: in Italia, dopo la pace di Noyon (1516), che pone termine al lungo conflitto seguito alla disfatta di Agnadello, i confini della Repubblica si restringono all'area padana, mentre sono definitivamente perduti la Romagna e i porti pugliesi. Quanto all'Italia settentrionale, la definizione dei confini si concentra soprattutto nel Friuli e nelle zone montane, dove la Serenissima e l'Impero vengono a contatto e i rispettivi diritti devono fare i conti con le tradizioni locali, fondate sugli usi civici o gli statuti delle "Regole"; la complessa trattativa venne appoggiata a commissioni formate da giuristi austriaci e veneti: fu allora, per esempio, che Cortina d'Ampezzo divenne territorio imperiale, mentre prima apparteneva alla Repubblica.
Qualche ulteriore ritocco ai confini ebbe luogo duecento anni dopo, dietro la copertura ideologica dell'Illuminismo; analogamente a quanto si era verificato per le giurisdizioni ecclesiastiche, fu ancora l'Austria di Maria Teresa a prendere l'iniziativa, chiedendo una razionalizzazione dei rispettivi ambiti territoriali. Donde la costituzione di specifiche commissioni che provvidero, tra il settimo e l'ottavo decennio del XVIII secolo, a fissare i nuovi confini, che vennero sanciti mediante l'installazione di cippi di pietra, con iscrizione e data. Cosi' avvenne sul fiume Tartaro, dove il Veronese confina col Mantovano; oppure sui principali valichi alpini, come possiamo constatare se osserviamo le pietre confinarie tuttora esistenti - e valide amministrativamente - nel passo San Pellegrino (anzi, in localita' "Zingari bassi", circa tre chilometri al di qua dello spartiacque, con evidente penalizzazione dei bellunesi rispetto ai trentini), oppure nei valichi del Giau o Valles.