Incurabili (Ramo dietro gli, Calle dietro gli, Ramo Primo dietro gli, Ramo Secondo, Ramo Terzo agli, Ramo dietro gli, Calle dietro gli, Campiello, Ponte, Rio degli) sulle Zattere. L'ospitale degli Incurabili venne fondato nel 1522, per insinuazione di San Gaetano da Thiene, da Maria Malipiero e Marina Grimani, le quali avevano dato ricovero in una casa vicina a tre povere donne da S. Rocco, affette da malattia venerea, allora riputata incurabile. Da principio era di legno, e nell'anno medesimo della sua fondazione fu ingrandito. Nel 1523 poi vi si eresse accanto una chiesetta, che nel 1566 si edificò in più ampie dimensioni e si consecrò nel 1600 sotto l'invocazione del SS. Salvatore. Anche l'ospitale fu rifabbricato probabilmente nel 1572. Riguardo agli architetti, fra le disparità dei pareri, giova credere che il modello della chiesa l'abbia dato il cav. Antonio Zentani, assistito dal Sansovino, e che la fabbrica fosse compiuta dal Da Ponte, di cui è la porta principale dell'ospitale, e di cui può essere eziandio, o in tutto o in parte, l'ospitale medesimo. Questo locale era destinato a bella prima a soli infermi di mali incurabili, ma poco dopo si accettarono anche orfani e putti per istituirli nella dottrina Cristiana, nell'arti, e nei mestieri. In effetto sappiamo che fino dal 1531 i Governatori dello spedale chiamarono S. Girolamo Miani, affidandogli la cura «sì dei putti che degli ammalati», il quale vi andò conducendo seco altri orfani, che avea già radunati in una casa presso la chiesa di S. Rocco. Nell'ospitale degli Incurabili servì del pari S. Francesco Saverio, destinato nel 1537 a questo ufficio con altri quattro compagni da S. Ignazio Lojola. La direzione del pio luogo, quanto a cose spirituali, era prima affidata ai chierici regolari di S. Gaetano, poscia ai Gesuiti di cui fu il Saverio, ed ultimamente in memoria del Miani, ai chierici regolari di Somasca. Pell'assistenza dell'inferme e pell'educazione delle donzelle nei primi anni vi erano dodici nobili donne, e per l'assistenza degli infermi alcuni gentiluomini, il che venne a cessare in seguito, ed i Governatori, scelti fra i nobili ed i cittadini, avevano cura del tutto coll'ajuto di persone salariate. Dopo il 1782 la sovraintendenza si restrinse nella persona d'un Governatore soltanto. Le donzelle educate in questo ospizio apprendevano anche la musica, ed erano celebri nel canto. Nel 1807 il locale degli Incurabili rimase ad uso d'Ospitale Civico, e nel 1819 si ridusse a caserma, come trovasi oggidì. In questa circostanza si chiuse la chiesa, che esisteva ove oggidì s'apre il cortile e la si fece servire a deposito dei materiali del Genio militare, finché, spogliata dei marmi, altari, e pitture, fu nel 1831 del tutto demolita. Indorador (Sottoportico e Corte, Corte del) a S. Marina. In «Campo di S. Marina», presso il quale s'aprono questo Sottoportico e questa Corte, avea casa e bottega nel 1661 «Antonio Scalabrin indorador», che pagava pigione per esse a «Zuane e Santo Castelli». I Doratori veneziani godevano nei secoli XV e XVI altissima riputazione, e quindi venivano chiamati a lavorare nei paesi stranieri. Ancora si conservano alcune dorature di quei tempi in modo meraviglioso. Quest'arte (onde altre vie di Venezia ebbero il nome) era un colonnello di quella dei «Dipintori», coi quali, nonché coi «Disegnatori», «Cuoridoro», «Targheri» e «Mascareri», «Cartoleri» (fabbricatori di carte da giuoco) e «Miniatori», riconosceva per protettore S. Luca, raccogliendosi prima nella chiesa dedicata a questo santo (ove aveva la propria tomba), e poscia in un apposito locale presso la chiesa di S. Sofia, eretto per disposizione testamentaria del pittore Vincenzo Catena. Vedi S. Bartolomeo (Merceria ecc.). La prova di maestranza pegli «Indoratori» consisteva nell'apparecchiare due striscie di legno intagliate con ornamenti, l'una piana, concava l'altra, raschiarle quindi dal gesso, indorarle e pulirle. Il lavoro durava più giorni e si faceva in presenza di tutto il colonnello. Nel 1773 l'arte dei Doratori contava in Venezia 33 botteghe, 64 capomastri, 70 lavoratori, e 10 garzoni. Isola (Calle, Rio, Ponte, Ramo, Campiello della) a S. Giacomo dall'Orio. Vuole il Gallicciolli che alcune delle piccole isole di cui è composta Venezia, mancando nei primi tempi del nome proprio, che avevano in generale le altre, si chiamassero genericamente isole, e che abbiano ritenuto questa denominazione fino ai nostri giorni. E' più probabile però che così si chiamino certe delle nostre località per tratti di caseggiato che sono, o furono un tempo, isolati. L'isola di S. Giacomo dall'Orio è nominata dal pievano di quella chiesa Pietro Reggia nel suo testamento (an. 1403): «Cum habeam alias XV domus in Insula, quarum XII sunt ad pedem planum, et tres in solario, et omnes sint positae in confinio S. Jacobi de Luprio» ecc. |
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