Nazario Sauro (Campo). Vedi Tedeschi. Nicolò Pasqualigo (Ponte) a Santa Fosca. Questo ponte, dopo la sua rinnovazione, venne aperto al pubblico il 16 aprile 1870, mentre, fino dal 4 marzo antecedente, per deliberazione Comunale, si cangiò il nome di «Noal», che portava fino dai più antichi tempi, in quello di «Nicolò Pasqualigo». Per Nicolò Pasqualigo, morto nel 1821 come comandante di divisione navale al servizio dell'Austria, vedi l'opuscolo del Cicogna col titolo: «Personaggi illustri della veneta patrizia gente Pasqualigo. Venezia, Picotti, 1822». Non havvi alcuna prova però ch'egli abitasse presso questo ponte, ed anzi è noto che finì i suoi giorni in una casa situata non lungi dal «Ponte dei Barcaroli». Che se la nostra Giunta Municipale aveva in animo, col nuovo cangiamento, di risvegliare nelle menti la rimembranza di qualche patria gloria, ben altri eroi più grandi del Pasqualigo presentano i veneti fasti, quantunque anche il Pasqualigo abbia lasciato fama di militare valente. Né il nome della famiglia Noal, onde prima contraddistinguevasi il ponte, è oscuro per certo, come vedrassi nell'articolo susseguente e come bene a proposito osservò la «Gazzetta di Venezia» del 5 marzo 1870. Nuovo commercio (Calle del) a S. Giuliano. La Descrizione della contrada di San Giuliano pel 1740 ci annunzia che in questa Calle allora esisteva la «Casa del Nuovo Commercio», e che i fratelli Vignola, proprietarii, avevano mostrato ai X Savii i libri del negozio. Troviamo poi nella «Nota degli abitanti della Contrada di S. Giuliano, fatta per commissione pubblica, ed eseguita dal R.do D. Gio. Batta Zonta Sud.o Titolato e Sagr.no» pel 1796, che in quell'anno «Pietro q. Antonio Zorzi» pagava pigione «ai fratelli co. Vignola» per una «casa e negozio da droghier» qui situato. Questo negozio avea forse anticamente l'insegna del «Nuovo Commercio». Esso nel 12 maggio 1797 venne devastato dalla furia popolare, essendosi il suddetto Pietro q. Antonio Zorzi dimostrato partitante dei Francesi. Sta aperto tuttora coll'annesso spaccio di liquori. Nani (Calle larga, Fondamenta) ai SS. Gervasio e Protasio. Il vicino palazzo, sorto nella prima metà del secolo XIV, apparteneva anticamente ai Barbarigo, e qui nacquero i due dogi Marco ed Agostino. Leggesi nel catastico della famiglia che quest'ultimo, con testamento 17 luglio 1501, lasciò «la casa grande da stazio, posta in contrà di S. Trovaso con le casette da sacenti, poste vicino di detta casa granda, alli N.N. UU. suoi nipoti, ser Bernardo e Polo fratelli Nani, e a ser Bartolomeo Pisani, divise per terzo, condizionate in perpetuo nei discendenti maschi di detti suoi nipoti». I Nani, rimasti unici possessori di detto palazzo, lo fecero in seguito ristaurare sopra modello del Sansovino. Essi vennero da Altino a Torcello, e quindi a Venezia fino dai primordii della sua fondazione. Cooperarono, come credesi, alla fabbrica delle chiese di S. Giovanni Nuovo e di S. Giovanni Laterano, ed esclusi in parte dal Consiglio nel 1297, vi furono riammessi nel 1381. Produssero alcuni vescovi, alcuni valenti militari, ma soprattutto molti gravi magistrati, fra cui Giovanni Battista sette volte ambasciatore, plenipotenziario, al congresso di Nimega ed istoriografo della sua patria, morto circa l'anno 1682. Siccome poi non ha famiglia che non conti qualche membro men degno, ricorderemo quel N. U. Pietro Nani, figlio di Paolo, giovane sviato, il quale, avendo incontrato a S. Apollinare la moglie del N. U. Francesco Falier, vestita di velluto alessandrino, e recante in petto una borchia di sommo valore, postasi al mento barba posticcia, e ricopertosi il capo di berretto, le tenne dietro, ed entrato seco lei nella corte della casa ov'essa abitava, le strappò la borchia dal petto. Perciò il 1. febbraio 1389 M. V. venne condannato ad essere tratto sopra una chiatta fino al «Ponte di Rialto», ove gli si dovesse tagliare una mano, ed a venir quindi nel medesimo luogo appeso alle forche, donde penzolasse per tre giorni interi. In palazzo Nani, secondo il Sanudo, il 4 ottobre 1506, si fecero feste per le nozze d'una figlia di Giorgio Nani con G. B. Badoer, ed il 25 marzo 1509 per quelle di Giacomo Corner con una figlia del q. Orsatto Morosini. Anche a S. Samuele esiste una «Corte Nani», e sappiamo che Francesco Nani, oltre di essere comproprietario del palazzo dei SS. Gervasio e Protasio, possedeva nel 1537 «case sei in S. Samuel, in Corte da Ca' Nani». Naranzerìa a Rialto. Nei piccoli e bassi magazzini, che sono sotto il palazzo dei «Camerlenghi», e che costeggiano questa via, conservavansi, come si pratica tuttora, gli aranci e gli agrumi. Tali magazzini negli Estimi si veggono contraddistinti col titolo di «botteghette dei Naranzeri sotto gli Uffizi dei Consoli, Sopraconsoli e Camerlenghi». L'arte dei «Naranzeri» era un colonnello di quella dei Fruttaioli, e per una terminazione del 1767, doveva essere riservata ai soli Veneziani. Narisi (Fondamenta) a S. Angelo. Vorrebbe il Dezan che avesse dato il nome a questa Fondamenta la famiglia Narisi patrizia. Ma poiché essa andò estinta in tempi molto antichi, è più probabile che qui rimanga memoria d'una famiglia popolare del cognome medesimo. Nasolìn (Ramo, Calle del) a S. Marina. «Nasolin» era cognome di famiglia cittadinesca. Nella «Minerva Veneta» pell'anno 1785 trovasi un «Gio. Andrea Nasolin sollecitador del Collegio dei Cento». Navaro (Calle). Vedi Lavaro. Nave (Calle della) a S. Lio, presso la «Salizzada». La presente denominazione non dipende, come dicono alcuni, dalla patrizia famiglia Nave, poiché gli stabili di questa famiglia, benché situati in parrocchia di San Lio, giacevano presso la chiesa della Fava. La denominazione invece dipende da una bottega da «casseller» all'insegna della «Nave», trovandosi nella Redecima del 1661 che «Zamaria Rota tornidor» aveva un piccolo magazzino «in contrà di S. Lio, nella Salizzada, nella calle appo il casseller della Nave». E la Descrizione della contrada pell'anno medesimo pone il magazzino del Rota appunto nella calle fin d'allora «della Nave» appellata. Altre strade hanno il medesimo titolo, ed eccone la cagione. Il «Ramo della Nave» a S. Marco, presso la «Calle degli Specchieri», fu così detto dall'insegna della prossima caffetteria in «Calle Larga», che un tempo in questo ramo aveva il suo accesso posteriore. La «Calle della Nave» all'Angelo Raffaele da qualche naviglio che si avrà fabbricato nello «squero» a cui essa conduce. Finalmente la «Calle della Nave» al Corpus Domini, che da vari anni però più non esiste, dalla famiglia Priuli dalla Nave, già proprietaria d'un vicino palazzo, sopra il quale appunto una nave scorgevasi scolpita. Distrutto il palazzo per formare la stazione della Strada Ferrata, questa scultura fu innestata in un muro del novello edificio sopra quell'area innalzato. Navegara (Corte) ai SS. Gervasio e Protasio. E' chiamata negli Estimi «Corte di Ca' Navagero» dalla patrizia famiglia di tale cognome, che venne dalle Contrade, e produsse antichi tribuni. Un «Francesco Navager de M. Michiel», in occasione della Redecima del 1514, presentò la polizza dei proprii beni, fra i quali eranvi cinque casette in parrocchia di S. Trovaso. E Daniele Vitturi vendeva a «mastro Bon q. Francesco», orefice, con istrumento 21 giugno 1568, una casa in «Borgo di S. Trovaso», la quale confinava da un lato «cum proprietate, sive domo, cujusdam nobilis de cha Navagerio». Il Capellari incomincia l'albero di questa famiglia da un Rocco, che nel 1043 trovavasi capitano di galea nell'armata condotta dal doge Domenico Contarini contro Zara ribelle. I Navagero produssero un'Andrea cronista, il cui nipote, pur egli di nome Andrea, fu celebre poeta, e successe al Sabellico nell'incarico di descrivere, per ordine pubblico, i patrii fasti. Spedito ambasciatore alla corona di Francia, egli morì nel 1529, lasciando pochi scritti, poiché molti ne condannò, per soverchia modestia, alle fiamme. La famiglia Navagero, che produsse altresì un Bernardo cardinale, decesso nel 1565, andò estinta nel 1742. Nerini (Campiello) a S. Simeon Grande, in Rio Marin. La famiglia Nerini ebbe principio in Venezia da un Pietro Illaris, detto Nerini, bergamasco, il quale era mercante di gioie, e nel 1696 sposò Paolina Da Brazzo. I di lui figli traslatarono in proprio nome il 17 giugno 1720 alcune case in Rio Marin «pervenute prima nella pia fraterna dei poveri vergognosi in vigor al testamento della N. D. Girolama da Canal 10 luglio 1681, atti Domenico Giberti, e poi nel N. U. Sebastian Soranzo per acquisto fatto dalla pia fraterna, giusta l'istrumento 23 settembre 1719, atti Bortolo Mandelli, e finalmente nelli detti figli per termination di prelation all'Uff. dell'Esaminador 11 ottobre 1719, e costituto annotato per parte de' N. U. Proc. 19 febbraio susseguente». Un Giuseppe ed un Nicolò, discendenti del citato Pietro, vennero il 26 gennaio 1778 M. V. approvati cittadini originarii. Anche essi abitavano, secondo i registri dell'Avogaria, in «Rio Marin, nella loro casa domenicale». Giuseppe Illaris Nerini fu secretario d'ambasciata in Ispagna. Nicoli (Ramo, Campo dei) a Castello. Dice il Berlan che può aver dato il nome a queste strade la famiglia Nicola patrizia, venuta d'Aquileja, ed estintasi nel 1318, ma ciò è falso, poiché, nella Descrizione della contrada di San Pietro di Castello pel 1661 trovasi che in questo punto aveva varii stabili, botteghe, e terreni vacui, parte suoi, parte in affitto, un «Giacomo Nicola filacanevo». Egli cognominavasi veramente «Pelao», come nei registri dell'Avogaria, donde apprendiamo che era figlio di Nicolò, e che, al pari del padre, esercitava a Castello la professione del «mercante di canevo». Egli stesso inoltre nella notifica dei propri beni, fatta nel medesimo anno 1661 ai X Savii sopra le Decime, si dice «Giacomo q. Nicolò Pelao», e si confessa possessore d'una «casa in Rio de S. Domenico di Castello per mezzo l'ospetal de Santi Pietro e Paolo», e d'altri stabili vicini. Volgarmente però era chiamato Nicola, o Nicoli, come tutti i suoi discendenti, fra i quali Filippo, che era nato pur egli a Castello, e che esercitava l'arte medica, venne col fratello Nicolò approvato cittadino originario il 10 giugno 1767. Un «Sottoportico Calle», ed una «Calle dei Nicoli» esistono anche alla Giudecca, e la Descrizione della contrada di Sant'Eufemia della Giudecca pel 1661 registra colà varii stabili di «Nicoletto e fratelli Nicoli con bottega che serve loro da lavorar da filacanevo, et un loco di cui si servivano per incatramar cai». Il Codice Marciano 939, Classe VII, pone i «Nicoli dalla Zudecha» fra i cittadini, e ne riporta lo stemma. Probabilmente erano del medesimo sangue della famiglia domiciliata a Castello. Nicolosi. Vedi Squero. Noal (Rio) a Santa Fosca. Scorre sotto il ponte, ora detto «Pasqualigo», e prima «Noal», dalla patrizia famiglia Anovale, o Noale. Ciò è provato dalle «Genealogie» di Marco Barbaro, e dalla «Cronolog. di famiglie Nob. Ven. in Candia» del Muazzo (Classe VII, Cod. 124 della Marciana) ove si legge: «Il Ponte di Noal in Sestier di Cannaregio, in contra' di Santa Fosca, si chiama con questo nome giacché fu fatto la prima volta da uno di questa casa Anoval». Al certo troviamo il suddetto Ponte così denominato fino dal secolo XIII, esistendo nel «Codice del Piovego» una sentenza del 1298 col titolo seguente: «Sententia Pontis de Noale qui de caetero debet reparari et refici per convicinos S. Fuscae, secundum antiquam consuetudinem». Anche nel 1379, come è provato dall'elenco dei contribuenti prestiti per la guerra di Chioggia, i Noal abitavano a S. Fosca. Questa famiglia venne da Noale, castello nel Trivigiano, e fino dal 982 trovavasi fra noi. Fece parte nel 1212 delle cavallerie spedite nell'isola di Candia. Si estinse in Venezia nel 1583. Rammenta Marin Sanudo che il 21 febbraio 1516 M. V. precipitò metà del «Ponte di Noal» mentre passavano due frati francescani del convento di S. Giobbe, i quali caddero nel rivo sottoposto senza farsi alcun male nella caduta. Noris (Ponte, Calle, Ramo Calle) in «Birri» a San Canciano. «Matteo Noris et fratelli q. s. Zan Donà» traslatarono in propria ditta il 30 marzo 1589 da quella di «M. Battista Morosini Proc.r» una «casa in San Cancian, in Biri, al Ponte de legno, pervenuta in lori in virtù d'istrumento de compreda, fatto nelli atti de s. Giacomo Chiodo nodaro veneto sotto il 3 marzo 1589». Troviamo che «Matteo Noris q. Zandonà» era «telariol alla Torre sotto il fontego dei Thodeschi». Egli è quel «Matteo Noris» da Bergamo che, insieme al fratello G. Battista, dopo ventisei anni di soggiorno nella nostra città, ebbe il privilegio di cittadinanza veneziana «de intus et extra» il 29 luglio 1581, e quegli pure che costrusse una tomba in chiesa dei Miracoli coll'iscrizione: Mathaeus De Noris et Fratres Sibi Posterisq. Suis 1581. Matteo Noris morì il 3 gennaio 1598. Rilevasi dagli Estimi che anche nel 1713 e 1740 la casa in «Birri», al «Ponte Noris», veniva dai Noris posseduta, ma che i proprietari della medesima domiciliavano allora in Bergamo. E fu in Bergamo che «Nicolin Noris» lasciolla più tardi per testamento alla famiglia Piatti. In effetto vediamo che il 30 agosto 1778 il «Nob. Sig. Alessandro Piatti q. Gio. Giacomo» fece passare in suo nome da quello di «Nicolin Noris q. Alessandro» una «casa al Ponte Noris per andar in Biri», ed altre in Venezia, «in esso pervenute per il testamento del q. sud. Nicolin Noris 2 luglio 1778, atti D. Vincenzo Ghisleri Nod. di Bergamo». Presso il «Ponte Noris» esiste tuttora un ospizio per povere donne, fondato da Francesco Bandi q.m. Bando, mercatante di seta lucchese, con testamento 17 maggio 1421. Egli aveva ottenuto il 25 maggio 1384 un privilegio di cittadinanza veneziana. Novello (Sottoportico) a S. Vio. Non sappiamo perché questo Sottoportico, che reca il N. A. 663, e che ricorda una famiglia Novello, altre volte qui domiciliata, manchi del suo nome scritto sulla muraglia, mentre lo troviamo nell'Anagrafi stampata per cura del Municipio nel 1841. Nómboli (Rio terrà, Calle dei) a S. Tomà. Non piace al Fontana che qui possa aver abitato qualche macellaio solito a mettere in mostra i «nomboli», cioè i quarti di dietro degli animali bovini, ma vuole piuttosto che qui ci fosse qualche fabbrica in cui si lavorassero i «cai di corda», pur essi «nomboli» appellati, onde sono formate le micce dei cannoni. Trattandosi di supposizioni, ci sembra più naturale la prima, sebbene dal Fontana rifiutata, che non la seconda da lui ammessa. Aggiungeremo poi che in Venezia esisteva una famiglia «Nombolo», e che questa avrebbe potuto dare il nome alle strade indicate. L'esistenza di tale famiglia è provata dai Necrologi Sanitarii, i quali registrano decesso il 15 luglio 1751 un «Gaetano Nombolo q. Antonio». Nónzolo (Sottoportico e Corte del) a S. Moisè. Gli inservienti alle chiese chiamavansi «nunzii», ed in dialetto «nonzoli», perché avevano l'ufficio d'annunciare al popolo l'ora delle sacre funzioni. Essi raccoglievansi in chiesa di San Basilio sotto l'invocazione di San Costanzo. Varie località di Venezia, ove codesti «nonzoli» abitavano, ne ritennero il nome. Vedi l'articolo che il Fontana consacra ad essi nelle sue «Occhiate Storiche a Venezia». Nuova (Corte) a Castello. Parecchie località di Venezia assunsero questo nome all'epoca della loro formazione relativamente ad altre strade preesistenti, alcune delle quali sono dette «Vecchie». In «Corte Nuova» a Castello avvenne il 15 decembre 1719 un grave incendio in cui perirono «Giacomo dal Missier masteler» con Elisabetta di lui moglie, ed un'altra persona. Nuove (Fondamente) a S. Giustina. Lasciò scritto il Tentori («Della Legislazione Veneziana sulla Preservazione delle lagune») che fino dal 1546 aveva decretato il Senato che si costruissero delle «Fondamente» da S. Giustina a S. Alvise. Esse per altro si prolungarono soltanto fino alla «Sacca della Misericordia», benché nel 1560 Giovanni Matteo Bembo ricordasse il decreto di continuarle fino a S. Alvise. Altri riferiscono al 1589 la prima erezione delle medesime. Il certo si è che in quell'anno comandò il Senato che fossero fatte di pietra. Nel 1767 ebbero un radicale ristauro, danneggiate com'erano, specialmente dalla bufera del 20 decembre 1766. Nota poi il Dezan che bene a ragione tali «Fondamente» conservano il nome di «Nuove», da loro assunto quando si costrussero, poiché moltissime «Fondamente» da quell'epoca si riattarono, ma nessuna se ne trova di nuovo innalzata. Le «Fondamente Nuove» erano un tempo molto più frequentate d'adesso e per la salubrità dell'aere, essendovi tradizione che questo sito non venisse giammai funestato dalla pestilenza, e pei varii ritrovi che qui per lo passato esistevano. Infatti sulle «Fondamente Nuove» eravi l'«Accademia dei Nobili», incendiatasi nel 1684 e 1769. Sulle «Fondamente Nuove» giuocavasi alla «Racchetta» in due siti, l'uno presso «Birri», e l'altro a S. Catterina, ove presero parte al giuoco Carlo VI e Carlo VII prima di divenire imperatori, i re di Polonia e di Danimarca, nonché altri nobilissimi personaggi. Sulle «Fondamente Nuove» in due case giocavasi al «trucco da terra», ed in un altro cortile alle «palle». Non lungi dalle medesime sorgeva un teatro, e più tardi una «Cavallerizza», mentre in «Campo dei Gesuiti» i dilettanti esercitavansi al pallone. Queste Fondamente erano un tempo unite a San Francesco della Vigna mediante un ponte, eretto nel 1592, ma dopo il 1820 distrutto. Nuovo (Campiello) a San Stefano. Per questa, ed altre strade egualmente denominate, vedi Nuova (Corte). Il «Campiello» di cui si fa parola, che anticamente era il cimitero dei frati di San Stefano, data soltanto dal 1838, come si vede dalla seguente iscrizione affissa al muro: Locum Coemeterii Vetustate Desueti Patefactum A. MDCCCXXXVIII Aere Civico. Alcuni vogliono che il terreno del medesimo venisse innalzato per misure igieniche, essendovi stati sepolti varii cadaveri all'epoca dell'ultima pestilenza. Ma essa avvenne nel 1630, e si scorge nel catastico di S. Stefano che questo cimitero fu scavato nel 1683. Qui in tempi più remoti si diede a menare vita penitente Paolo da Campo di Catania, feroce corsaro, il quale nel 1490 fu catturato nelle acque di Ragusi dal capitano navale Tommaso Zeno, e condannato, per sentenza 28 gennaio 1492 M. V. a perpetuo confine nella città di Venezia. «Costui», dice Marin Sanudo, «dorme su teste de morti, et à conzato una caxa di dette teste e monti di ossi: dorme sotto l'altar dove dise messa: va discalzo e senza nulla in capo; mai manza di cotto» ecc. Alcuni autori, tutti però d'un'età alquanto posteriore a quella in cui visse Paolo da Campo, scrissero che egli, venuto a morte, fu sepolto sotto l'altar maggiore della chiesa di S. Stefano. Anzi un anonimo del secolo XVII, traendo le notizie dal «Compendio dell'origine della Sacra Cintura», dice che colà venne ritrovato incorrotto il di lui corpo. E veramente nel 4 agosto 1836, lavorandosi in detto altare, si fece la scoperta d'uno scheletro umano, mentre sopra un vicino tavolato videsi disegnato in bianco un vascello, ed in nero una testa con barba, mustacchi, e berretto all'orientale, essendovi, fra altre sigle, non intelligibili, l'anno 1499. Senonché ben diverse notizie ci dà il contemporaneo Sanudo intorno a Paolo da Campo, poiché, dopo aver fatto la descrizione che abbiamo riferita della vita penitente del medesimo, così continua sotto la data 28 settembre 1499: «Or questo, dato a tal cossa e vita sancta, ma, meo juditio, meninchonica, tolse licentia di andar su la galia del capit. zeneral, si parte questa notte contra Turchi, et cussì li fo concesso, tamen il seguito di lui scriverò poi». Il qual seguito compendiò nelle seguenti parole: «accidit che si partì di Venezia, et in questo mese di luio» (1501) «se intese era andato al Turco, et fo so spion». Il Cicogna pertanto conghiettura che il corpo ritrovato sotto l'altare di San Stefano sia invece quello del beato Bonsembiante Badoaro, morto in Venezia nel 18 ottobre 1369, che tutti gli scrittori dicono riposare in chiesa di San Stefano, benché non precisino la situazione. Conghiettura poi che le pitture del tavolato, le quali sembrerebbero alludere a Paolo da Campo, si aggiungessero al momento della prima scoperta del cadavere, creduto allora quello del penitente corsaro. Vedi «Cenni Storici intorno Paolo da Campo da Catania» ecc. «Venezia, Tip. Alvisopoli, 1836». |
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