Occhio grosso (Calle, Ramo dell') a S. Martino. Un «Zuan Carlo Occhio Grosso fo de m. Antonio» notificò nel 1566 di possedere, insieme al nipote Marcantonio, figlio di suo fratello Tommaso, una casa dove abitava, ed altre sette case con alcune botteghe in parrocchia di S. Martino. Olio (Fondamenta della Riva dell') a S. Cassiano. Venne così denominata, come scrive il Gallicciolli, perché vi si scaricava l'olio. E molte botteghe ove esso vendevasi veggiamo pure qui stabilite nella Descrizione della contrada pel 1740. Fino dagli antichi tempi, era preposto all'olio il Magistrato della «Ternarìa Vecchia», a cui in seguito s'aggiunsero la «Ternarìa Nova», ed i «Provveditori sopra Olii». La «Fondamenta della Riva dell'Olio» si appellava eziandio «Riva dei Sagomadori» dal greco «sàcoma», che in latino suona «aequipondium», ed in italiano «giusta misura», perché vi si misurava la capacità delle botti da olio coll'acqua del canale. Appellavasi del pari «Riva delle legne» perché vi si scaricavano anche legne, onde scrisse il Sabellico: «Totam ripam insident naves onerariae venalibus lignis onustae». Presso questa Fondamenta sussiste ancora lo stazio delle barche di Mestre, antichissimo per certo, poiché sotto la data 23 settembre 1342 abbiamo la legge: «Che tutti li confinati sopra le fondamente, principiando dal luogo delle barche di Mestre fino al Rio di Ca' Bellegno, ovvero del Ponte di S. Cassan, non abbiano rason alcuna in esse». Altre località in Venezia si chiamano «dell'Olio» per lo scaricarsi, depositarsi, o vendersi che colà si faceva di questo preziosissimo umore. Fra esse merita particolar menzione il «Ponte dell'Olio», a S. Giovanni Grisostomo, così detto pei vasti magazzini di ca' Ruzzini, occupati un tempo, fra le altre merci, da botti d'olio, magazzini, che secondo la cronaca del Savina, incendiaronsi nel 1586. In antico questo ponte portava il nome anche di «Ponte del Fontego», e di «Ponte della Calle della Bissa» perché vicino al Fontico dei Tedeschi, ed alla calle accennata. Si legge che, dovendosi riattarlo, ordinossi il 3 gennaio 1320 M. V. ai Signori di Notte di ricercare a chi ne spettasse l'obbligo, ed in mancanza d'altri, di addossarne il peso alla contrada di S. Giovanni Grisostomo. Scrive poi il Sanudo che il 13 febbraio 1497 M. V. cadde da questo ponte Bernardin Vallaresso q.m G. Battista, ed annegossi, e che la notte del 4 novembre 1504 il ponte medesimo precipitò colla morte di Benedetto, figlio di Girolamo Bernardo. I «Mercanti da olio» si raccoglievano, sotto il patrocinio della B. V. della Visitazione, a S. Agostino, ed i «Sagomadori» nella chiesa di S. Tomà, sotto il patrocinio della B. V. della Purificazione. Olio (Calle dell') o del Caffettier a S. Giovanni Evangelista. Né deposito di olio, né bottega da caffè hanno più in questo sito esistenza. Ospedaletto (Ponte, Calle, Sottoportico e Calle, Campiello, Calle dell') ai Santi Giovanni e Paolo. Questo ospedaletto, o piccolo ospedale, venne fondato nel 1527 dal cerusico Gualtieri in un luogo che dagli esercizii militari era chiamato il «Bersaglio». Qui si raccolsero gl'infermi, che dopo una fiera carestia s'erano a dismisura moltiplicati nella nostra città, e ad essi poscia si aggiunsero orfanelli. Molto benemerito del pio luogo si rese S. Girolamo Miani, ed anche, come è fama, S. Ignazio Lojola. L'annessa chiesa, edificata nel l528 sotto il titolo di S. Maria dei Derelitti, venne rifabbricata nel 1674 per legato di Bartolammeo Carnioni, merciaio in «Merceria di S. Salvatore» all'insegna dello Struzzo, sul disegno di Baldassare Longhena, il quale ne sopraccaricò la facciata di marmi e sculture. L'ospitale, anch'esso rifabbricato sul disegno di Matteo Lucchesi, durò fino al 1807, in cui fu ridotto a Casa di Ricovero per vecchi e vecchie bisognosi ed impotenti. Ai nostri tempi ebbe un ingrandimento. Ora, per la nuova via tracciata dietro l'abside della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, il «Sottoportico e Calle dell'Ospedaletto» furono chiusi. Dice una cronaca che un tempo «eravi zecca all'Ospedaletto ai Santi Giovanni e Paolo in quella casa su cui avvi San Marco». Il Gallicciolli, ricordando che anche a' suoi tempi vi aveva gratuita abitazione un ministro di zecca, crede che colà si coniassero le monete erose, o «maggiorine», cioè miste col rame. Ma è certo che colà soltanto si fondeva l'oro inserviente alla zecca, poiché la Descrizione della Contrada di Santa Maria Formosa pel 1661 segna dietro l'«Ospedaletto» la «Fonderia della zecca», nonché le abitazioni di Tommaso Premuda, Lattanzio Zucconi, ed Alessandro Rizzo, loro concesse «per il carico di fonderia». Ed i «Notatori del Gradenigo» così ne dicono sotto il 15 maggio 1771: «Ridotte cadenti l'esterne mura del pubblico recinto dove si purga e si raffina l'oro inserviente al conio delle monete proporzionate al vario peso di simile metallo, ordinarono gli Ecc.mi Sopra Provveditori alla Zecca che siano del tutto rinnovate, e rimesse, ristaurando anche il colmo di molto pregiudicato et infracidito». Questa situazione, contigua alla Cavallerizza dietro la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, è non distante dalle Fondamente Nuove. Ospedaletto alla Giudecca. Vedi Ospitaletto. Osteria della Campana (Calle dell') a Rialto. Antica era l'osteria della Campana al pari di quasi tutte quelle di Rialto, giacché ne abbiamo memoria fino dal 1341. Sappiamo che questa osteria apparteneva alla famiglia Sanudo, laonde il celebre Marino così si espresse nella sua «Cronaca» (Codice 920 della Raccolta Cicogna): «El stabele qui è molto caro. Testi siamo noi Sanuti che in Pescharia nova habiamo un'hostaria chiamata di la Campana. Sotto tutte botteghe, ed è picciol luogo, e tamen di quel coverto si cava più di ducati 800 di fitto ogni anno, che è cossa maravigliosa del grande afitto, e questo è per esser in bon sito l'hostaria; paga ducati 250 che paga più chel primo palazzo della terra». Il Sanudo racconta nei «Diari» come, essendosi contratto matrimonio fra una figlia di Leonardo Grimani ed Alvise Morosini, ascritto alla compagnia della Calza denominata degli «Eterni», ed avendo questi dimostrato poca splendidezza nell'apparecchiare il banchetto d'obbligo, pensarono gli Eterni di trarne vendetta col venire il 26 gennaio 1507 M. V. a Rialto, dopo aver fatto non lievi guasti in casa Grimani, con due bacini d'argento portati da Stefano e Domenico Tagliacalze, bravi buffoni, i quali andavano sollazzevolmente gridando che, essendo stati i compagni maltrattati nel desinare, a cui nemmeno s'invitarono donne, volevano, mediante quei bacini, cenare con maggiore allegrezza, impegnandone uno per le torce, e l'altro per l'imbandigione all'Osteria della Campana. Racconta pure il Sanudo che in questa osteria, all'epoca di Cambrai, furono trattenuti, come ostaggi, alcuni cittadini di Cremona, i quali poscia fuggirono. Né si dimentica di ricordare, come, essendosi acceso in Rialto il fierissimo incendio del 10 gennaio 1514, ovvero 1513 M. V., v'accorsero molti che colà erano proprietari di stabili, «fra li quali», dice, «io Marin Sanudo, fo di missier Lunardo, vi corsi per aver parte in l'hostaria di la Campana, di la qual trago el viver mio, et paga di fito duch. 250, oltre le boteghe da basso». Il Sanudo medesimo dispose poi di parte dell'osteria della Campana nel suo testamento fatto nel 1533». Tale osteria stava aperta anche ai nostri tempi. Ora è ridotta a private abitazioni, meno i locali terreni, inservienti, come un tempo, a magazzini e botteghe. Gli Osti, eretti in corpo per decreto del Consiglio dei X 18 giugno 1355, costituirono la loro scuola di divozione in chiesa di S. Matteo di Rialto sotto il patrocinio di S. Giovanni Battista, ma nel 1488 trasportaronla in quella di S. Cassiano. Altra Scuola avevano nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo. Trovasi nel libro «Clericus Civicus» una legge del 18 aprile 1318 così concepita: «Quod quilibet dictor. hosteriorum teneatur habere duas cameras honorifice paratas cum quatruor lectis honorifice et decenter fornitis pro qualibet camera, ad hoc ut ambaxatores, clerici, et aliae solemnes personae venientes Venetias possint in ipsis hospitari decenter». Fino dal 1355 le osterie in Venezia erano 24 con 960 letti apprestati. Allora il Senato le restrinse a 13 a S. Marco e S. Giovanni in Oleo, ed 8 a Rialto. Tre altre poco dopo ne furono rimesse. In tutte fino al secolo XV inclusivamente si trovavano stalle e cavalli, sicché v'era la legge che gli osti: «pro quolibet equo accipiant per tota die soldos sex parvorum, dando faenum, paleam, et stabulum, et quartarolum unum bladi». Nel 1773 le osterie di Venezia ammontavano al numero di venti. Oca (Calle, Ramo di Calle dell') ai SS. Apostoli. La «Calle dell'Oca», parte della quale era sottoposta alla parrocchia dei SS. Apostoli, e parte a quella di S. Sofia, ebbe il nome da una bottega da fruttaiuolo all'insegna dell'«Oca». Leggesi nelle Condizioni del 1582 che un Giulio Negri possedeva due casette con due botteghe ai SS. Apostoli «in Calle del fruttariol dell'Oca». Ed in occasione della Redecima del 1661 un Antonio Verdi notificò di possedere una «casa a S. Sofia, in calle dell'Oca, con una bottega di sotto da fruttariol, all'insegna dell'Oca». Questa casa e bottega di Antonio Verdi erano situate all'ingresso della «Calle del Verde», confluente alla «Calle dell'Oca», e propriamente nel punto in cui la parrocchia di S. Sofia si divideva dalla parrocchia dei SS. Apostoli. In «Calle dell'Oca» ebbe esistenza sotto la Repubblica un teatrino, ove però non si cantarono che sei opere, l'ultima delle quali fu, nel 1707, il «Prassitele in Gnido», poesia di Aurelio Aurelii, musica di Girolamo Polani. Occhialera (Calle) ai SS. Gervasio e Protasio. Un Antonio figlio di «Zuane ochialer», il quale abitava presso il «Borgo S. Trovaso», ove appunto s'apre la «Calle Ochialera», venne violentemente sodomitato per istrada da un Antonio figlio del merciajo «al segno del Coral in Ruga dei Oresi a Rialto», pel qual fatto questi fu citato a comparire in giudizio il 26 febbraio 1610 M. V. Troviamo pure che il 26 agosto 1612 morì in parrocchia dei SS. Gervasio e Protasio «Caterina fia de Bortolo ochialer, nassente». Gli «Ochialeri» dipendevano dalla Scuola dei «Marzeri», quantunque nel 1665 tentassero di emanciparsene. Essi raccoglievansi in chiesa di S. Giuliano sotto il patrocinio di S. Girolamo. Un'altra «Calle» ed un «Ramo Calle Ochialera» esistono a Rialto. Queste strade erano sottoposte alla parrocchia di S. Matteo, e nei Necrologi del Magistrato alla Sanità troviamo la seguente annotazione: «Adì 12 ottobre 1619. Battista fiol de Zuane ochialer, morto da variole, amalato g.ni 10 - S. Mattio». Oche (Ramo, Calle, Sottoportico, Calle e Ponte, Ponte Calle, Calle delle) a S. Giacomo dall'Orio. Alcuni volatili, battezzati dal volgo per oche, si scorgono tuttora scolpiti in certe piccole pàtere sulla facciata di un antico palazzo, posto a' piedi del ponte, che perciò con le strade vicine venne detto «dell'Oche». Ogio. Vedi Olio. Ognissanti (Fondamenta, Ponte, Rio, Campo, Fondamenta, Ponte degli). Alcune monache Cistercensi di S. Margherita di Torcello, abbandonato verso la metà del secolo XV il loro monastero divenuto cadente ed insalubre, si trasferirono a Venezia, e nel 1472 fabbricarono in questa situazione un ospizio, a cui aggiunsero una chiesetta di tavole dedicata alla B. V. ed a Tutti i Santi. Nel 1505 per mezzo dell'elemosine solite ad offerirsi ad un'immagine della Vergine da loro posseduta e stimata miracolosa, poterono riedificare la chiesa nella forma presente, ed ampliare il monastero. Serpeggiò anche in esso il mal costume, leggendosi nel Sanudo, sotto la data 12 febbraio 1505 M. V. «E' da saper in questi zorni fo scoperto di la Badessa di Ogni Santi qual era gravida con altre muneghe di un pre' Francesco Persegin, el qual fo ritenuto, e cussì vi andò con gran strepito il patriarcha ivi, e li Avogadori Francesco Orio, Hieronimo Querini, et Antonio Zustignan dottor, et con barche di Officiali intorno el monastier, et zercorno la verità; fo ritenuta la badessa». E' d'uopo credere però che l'ordine venisse ben presto ristabilito, poiché nel 1518 il patriarca Antonio Contarini, per riformare il monastero di S. Biagio e Cataldo alla Giudecca, scelse, come esemplari, quattordici monache degli Ognissanti. La loro chiesa fu consecrata nel 22 luglio 1586 da Girolamo Ragazzoni vescovo di Caorle. Nei primordii del presente secolo esse furono concentrate con quelle di altro monastero, ed il convento destinossi alle Cappuccine Concette di Castello. Nel 1810, soppresse tutte le comunità regolari d'ambo i sessi, anche le Cappuccine dovettero depor l'abito, ma continuarono ad abitare nello stesso locale, convertendolo in casa d'educazione femminile. Finalmente nel 1820 vennero ripristinate nella originaria condizione, e tuttavia si occupano nell'educazione delle donzelle. Anche la «Calle dell'Indorador», presso la «Calle lunga di S. Barnaba», è detta «degli Ognissanti» perché, per mezzo d'un ponte, mette a questa chiesa. Il ponte suddetto venne ai nostri tempi distrutto, ma poscia rifabbricossi nel 1867. Ole (Calle delle) a Castello. «Ola» corrisponde nel nostro dialetto a pentola, o «pignata». E probabilmente in questa situazione esisteva anticamente qualche bottega da pentolajo, seppure «Ola» non è invece cognome di famiglia, trovandosi decessa il 23 marzo 1680 in parrocchia di S. Pietro di Castello «Catterina figlia di M. Giacomo Ola marangon dell'Arsenal». Oratorio (Calle dell') alla Fava. Prende il nome dall'oratorio di S. Filippo Neri, annesso alla chiesa della Fava. Un «Campiello dell'Oratorio» havvi pure a S. Nicolò da un prossimo oratorio eretto nel 1760 sotto l'invocazione della B. V. e di S. Filippo Neri. Orbi (Calle degli) a S. Samuele. Scorgesi negli Estimi che in «Calle degli Orbi», a S. Samuele, varie case erano possedute dalla Scuola degli «Orbi», o Ciechi. Infatti troviamo che la Scuola suddetta nel secolo XV avea fatto acquisto di stabili a S. Samuele in due riprese, cioè nel 1432, 8 agosto, da Paolo Morosini, e nel 1447, 9 giugno, da Orsa, vedova di Marco Morosini. I Ciechi si unirono in confraternita nel 1315 sotto il patrocinio della Natività di M. V., e dapprima si riducevano nella basilica di S. Marco sotto la Confessione. Ma dopoché quel luogo fu invaso dall'acque, ricovrarono all'Ascensione, e finalmente nel 1595 a S. Moisè. In questa chiesa costrussero nel 1671 un altare dedicato alla Natività di Maria Vergine, e nel 1680 il proprio sepolcro. Sembra che anche alcune località a S. Maria Formosa si dicessero degli «Orbi» per case che anticamente vi possedeva la Scuola medesima. Nel «Giornale» di quanto accadde in Venezia durante l'assedio 1813-1814, e precisamente in data 13 novembre 1813, leggiamo la seguente notizia: «Alle ore due di questa mattina è crollata una casa a tre piani in Calle degli Orbi a S. M. Formosa che dava segni visibili di vicina caduta. Essa era abitata dal nonzolo della chiesa suddetta, e da una nutrice. Il primo si è trovato in canale nel suo proprio letto colla moglie che ha avuta una gamba rotta; la seconda è perita, e la creatura che nutriva è rimasta portentosamente appesa per le fascie ad una trave, ed è stata salvata». Orefici (Ruga, Sottoportico degli) a Rialto. Il maggior Consiglio, con deliberazione 23 marzo 1331, aveva ordinato che gli orefici non potessero aver bottega, né mercanteggiare in lavori d'oro e d'argento in luogo diverso dall'isola di Rialto. Quantunque questa legge fosse poscia rivocata, pure gli orefici continuarono, almeno per la maggior parte, a stanziare in Rialto, e precisamente nelle strade che tuttora ne portano il nome, stendendosi eziandio nella «Ruga Vecchia S. Giovanni», chiamata un tempo anch'essa «Ruga dei Oresi». Il Sabellico («De Situ Urbis»), parlando di questo tratto di città, lo vorrebbe chiamare «degli Anelli», pei molti anelli che vi si fabbricavano. Oltre gli anelli però, i nostri distinguevansi pur anche nel lavorare quelle armille, che noi appelliamo «manini», e che un tempo dicevansi «entrecosei», cioè «intrigosi», perché fatte di sottilissime magliuzze d'oro l'una all'altra intrecciate o perché facili, maneggiandole, a ravvolgersi, ed avvilupparsi insieme. Gli orefici in Venezia fiorirono fino da tempi antichissimi, trovandosi in una carta del 1015, ed in certe convenzioni fra il doge Ottone Orseolo e gli Eracleani, sottoscritti alcuni «aurifices». Tuttavia si ridussero in corpo soltanto nel 1300, come nota il ms. d'Apollonio Dal Senno. Essi erano uniti ai Gioiellieri, avendo per colonnello anche i Gioiellieri da falso, ed i «Diamanteri», e riconoscendo per protettore S. Antonio Abbate, a cui, sul disegno di Girolamo Campagna, eressero in chiesa di S. Giacomo di Rialto un magnifico altare, con prossimo sepolcro, il diritto al quale fu loro accordato il 9 aprile 1601 col patto che offrissero ogni anno due pernici al doge nel giorno di S. Stefano. Chi voleva essere ammesso a quest'arte, dalla quale erano assolutamente esclusi gli Ebrei, doveva subire una prova della sua idoneità al ramo del lavoro prescelto. Nel 1693 i rami erano i seguenti: legature di gioje alla Veneziana ed alla Francese; catenella d'oro; filigrani, catena d'oro massiccia; argento alla grossa, come coppe e bacini, calici, ed altri arredi sacri; posate, minuterie, bottoni di filo; sbalzo a ceselli. Dovevasi affaccettare il diamante, il cristallo di monte, il rubino, lo smeraldo, ed il granato, fondendosi a luto ed a staffa, dipingendosi a smalto, ed intagliandosi a bolino. La scuola degli Orefici, benché secolarizzata, si scorge tuttora in «Campo di Rialto Nuovo», ed ora serve a deposito sussidiario dell'Archivio di Stato. Della «Ruga degli Orefici» a Rialto parla una sentenza dell'8 gennaio 1340 M. V. così compendiata nel codice Cicogna 2674. «Leonardus Rosso, aurifex, pro fecisse zonas, et alia argenteria de malo argento subtus legam, et ea vendidisse, ac si essent de bono argento, confessus, conductus ligatus cum zonis ad collum a S.to Marco ad Rivoaltum per Rugam Aurificum, uno praecone proclamante culpam suam, et non possit exercere artem aurificum in Venet. pro magistro nec pro famulo, et uno anno in carcere». In Ruga degli Orefici a Rialto costumavasi di dare varie volte all'anno, ma specialmente nel Giovedì Grasso, la caccia dei tori. Orese (Sottoportico dell') al «Malcanton». Questo Sottoportico, colla piccola Corte a cui conduce, era anticamente sottoposto alla parrocchia di S. Margherita. «Cattarina di Stefani q.m M. Francesco orese, habitante in contrà de S.ta Malgarita in Corte dell'Orese», notificò nel 1582 di possedere colà varie case, una delle quali era, «pro indiviso», colla «Mag.ca Maria Basadonna», e colla «commissaria del q. M. Bartolomeo orese all'Ancora». Essa Catterina di Stefani dava pure in quell'anno una di tali case a pigione ad un altro «M. Francesco orese». Pell'arte degli «Oresi» (orefici) vedi l'articolo precedente. Orfei (Corte dei) a S. Benedetto. E' la corte dell'antico palazzo Pesaro, in cui si raccoglieva una società detta degli «Orfei», perché quelli che la componevano si dedicavano a coltivare la musica. Questa società trasportossi nell'indicato palazzo l'anno 1786. Ciò si rileva da un articolo inserito nel Giornale di Venezia intitolato: «Il Nuovo Postiglione» (Numero 16, settembre 1786), da cui trascriviamo il brano seguente: «Meritano sommo elogio i Sig.ri Soci dell'Accademia d'Orfeo, i quali colle più prudenti e vaste idee ognora più perfezionano il loro Istituto. Corrisponde appunto questo alla loro denominazione, poiché è quello dell'armonia in suono e canto, e nell'ordine della Società loro. Aumentatasi fino a 150 socj, e numeroso essendosi veduto il concorso di distintissime persone anche estere (queste essendo ammesse anche senza biglietto quando sieno introdotte da uno dei soci) alle Accademie e Feste di Ballo, che a loro proprie spese sogliono i medesimi socj dare, conobbero altresì la necessità di più vasto luogo per le loro Assemblee. Quindi con la commendabile Presidenza del zelantissimo Sig.r Gio. Andrighetti Cassiere, fu trasferita la loro Accademia dalla Contrada di S. Angelo a quella di S. Benedetto in un appartamento di vasto palazzo da loro fornito ed abbellito con singolar eleganza, ma senza un affettato sfarzo. Nella sera del 28 al 29 del mese corr. vi si darà adunque il primo armonioso spettacolo con una cantata intitolata: Deucalione e Pirra, a tre voci di scelti Professori, con Sinfonie, Concerti, e vaga illuminazione. La poesia è dell'eccellente sig.r Antonio Sografi Avvocato Veneto, e la musica del cel. sig. Ferdinando Bertoni, Maestro della Ducale di S. Marco» ecc. ecc. La Società degli Orfei continuò ad esistere anche nel secolo successivo, e nel 1826 aveva sede nel palazzo Cappello in Canonica. Il palazzo Pesaro a S. Benedetto, in cui fiorì pure la celebre tipografia Albrizziana, prestavasi anticamente a spettacoli. Ne fa fede Marin Sanudo raccontando che la sera del 19 febbraio 1514 M. V. rappresentossi colà, per opera della compagnia degli Immortali, la Commedia di Plauto intitolata «Miles Gloriosus» con intermezzi buffoneschi. Bellissimo fu l'apparato, principalmente quello del cielo sopra la corte, e fra gl'intervenuti contossi l'oratore di Francia col Capo delle Fanterie, coi figli del doge, e con molti gentiluomini e dame, riccamente vestite, fra le quali la moglie di «Zuane Emo» indossava una vesta di stoffa d'oro. Lo spettacolo si compì a sette ore di notte, e poscia si cenò, e ballossi fino a giorno. Il Sanudo medesimo racconta che in questo palazzo il 9 gennaio 1520 M. V. la compagnia della Calza, detta degli Ortolani, fece pure una festa colla recita d'una commedia del Ruzzante in onore del principe di Bisignano, ed a spese del conte Antonio Martinengo, e altra ne fu fatta il 30 giugno 1522 in onore di Pietro Pesaro, eletto procuratore di S. Marco. In questo palazzo abitò Giovanni Stafileo vescovo di Sebenico, ed ambasciatore del pontefice, venuto a Venezia il 24 decembre 1512. La Signoria aveva apprestato per esso il palazzo del marchese di Ferrara, ove abitava l'altro ambasciatore papale vescovo d'Isernia, ma lo Stafileo prescelse il palazzo Pesaro a S. Benedetto perché ivi abitava, come dice il Sanudo, «Beltrame Spagnol, suo amicissimo». Ormesini (Calle, Ponte, Fondamenta dei) a S. Marziale. Secondo un codice della Marciana ed il Dezan, presso queste strade, soggette un tempo alla parrocchia dei Ss. Ermagora e Fortunato, fabbricavansi gli «ormesini». Ed in vero s'apprende dai Necrologi Sanitarii che un «M. di Nicolò ormesiner» morì in parrocchia dei Ss. Ermagora e Fortunato il 2 aprile 1576. Sotto il nome di «ormesini» comprendevansi certi drappi di seta provenuti in origine da Ormus città dell'Asia. Nota il Marin («Storia Civile e Politica del Commercio dei Veneziani») che mentre erano proibitissimi in Venezia tutti i panni di seta forestieri, facevasi un'eccezione per le «canevazze» di Napoli, e gli «ormesini» di Firenze, forse perché, portando la moda un gran consumo di tali generi, non bastavano le fabbriche veneziane a soddisfare le ricerche. Orologio (Merceria dell') a San Marco. Questo orologio venne fabbricato in Reggio di Modena per opera di G. Paolo Rainieri, e di G. Carlo suo figlio dal 1493 al 1496. Tradotto a Venezia, si pensò d'innalzare in «Piazza di S. Marco» una torre per collocarlo, ed è probabile che l'architetto ne sia stato Pietro Lombardo. Abbiamo in Marin Sanudo: «Adì 10 Zugno» (1496) «fo dato principio a butar zoso le caxe al intrar de Marzeria in la piaza de S. Marcho, supra el volto, per far le fondamente di un horologio multo excelente» ecc. L'opera venne compiuta nel febbraio 1498 M. V., ovvero 1499, laonde il Sanudo medesimo così scrive: «In questo zorno primo de Fevrier» (1499) «a hora andava el Prencipe per piazza, per andar a Vespero a S. Maria Formoxa, fo aperto et scoperto per la prima volta l'horologio che è su la piaza, sopra la strada va in Marzaria, fato cum gran inzegno et bellissimo». Pietro Lombardo aggiunse alla torre nel 1506 le due ali, demolendo i preesistenti fabbricati di fianco. Dopo circa due secoli e mezzo dalla costruzione della macchina dell'orologio, essendosi questa ridotta a grave deperimento, venne rinnovata dal meccanico Bartolammeo Ferracina, che vi spese cinque anni di lavoro (1752-1757). In quel frattempo ristaurossi anche la torre, a cui nel 1755 si fecero alcune importanti aggiunte sul disegno di Giorgio Massari. Così durarono le cose fino al 1858 in cui la torre ebbe un altro ristauro interno, ed un altro riattamento l'orologio. Per più estese notizie vedi la «Relazione Storico-Critica della Torre dell'Orologio in Venezia», pubblicata nel 1860 dal dott. Nicolò Erizzo. Orseolo (Bacino) a S. Marco. A merito specialmente del prefetto di Venezia Luigi Torelli, venne formato nel 1869 questo bacino d'acque a comodo delle gondole, ed altre barche, che approdano alla «Piazza di San Marco». Volle poi il Consiglio Comunale appellarlo «Orseolo», stendendosi dietro l'ospizio del doge Pietro Orseolo, il quale aveva l'ingresso pel «Campo di San Gallo», ed era stato trasferito in questa situazione nel 1581 dalla «Piazza di San Marco», ove prima esisteva. Vedi Orsoline (Corte delle). Nel 1870 si decorò la casa dell'ospizio d'una piccola facciata risguardante il bacino, e vi si posero due allusive iscrizioni. Orsete (Campiello delle) a S. Giacomo dall'Orio. Dalla famiglia «Orsetta», od «Orsetti», pluralizzato femminilmente il nome. Un Iseppo Orsetti abitava presso questo «Campiello» nel 1740. Ed anche quel «Carlo Domenico Orsetti», che nel 1762 venne eletto pievano di S. Simeone, era nato, come si vede nei Protogiornali, in parrocchia di S. Giacomo dall'Orio. Orso (Sottoportico e Calle, Calle e Corte dell') a S. Bartolammeo. La «Corte dell'Orso», da cui presero il nome le strade vicine, viene appellata negli Estimi «Corte di Ca' Orso». Sul pozzo di marmo rosso esistente nella medesima è scolpita tuttora un'arma gentilizia con un orso in piedi nel mezzo. Noi crediamo che qui abitasse quella famiglia Orso, la quale venne da Lucca nel secolo XIV con altre famiglie dedite al setificio, imperciocché un «Petrus Orsi quondam Puccinelli qui fuit de Lucca», nel privilegio di cittadinanza veneziana concessogli dal doge Andrea Contarini il 1° ottobre 1376, è detto «habitator Venetiarum in contracta S. Bartholomei». Questo Pietro Orsi è compreso nel ruolo di quei Lucchesi che fabbricarono stabili a Venezia. Nei secoli XV e XVI v'era in «Corte dell'Orso» a S. Bartolomeo una locanda all'insegna del Leon Bianco, non di rado nominata dal Sanudo ne' suoi «Diari». Essa probabilmente esisteva in quell'alto fabbricato, che cinge da due lati la corte medesima. In questa locanda abitarono nel 1496 gli ambasciatori di Taranto, nel 1501 il bano di Belgrado, e nel 1502 un ambasciatore del re d'Ungheria. Orsoline (Calle delle) a S. Marta. Volendo nel 1571 «Scipione Bardi del q.m Donato» destinare alcune sue casette al ricovero di povere donne ascritte alla compagnia di S. Orsola, ne affidò l'incarico ai Governatori della Congregazione dei poveri vergognosi di questa città, e ne sorsero quindi due ospizii, l'uno in parrocchia dell'Angelo Raffaele, e precisamente in «Calle delle Colonele», o «Colonnette», ora «Calle Colonnella», l'altro in parrocchia di S. Nicolò dei Mendicoli, presso S. Marta, nella calle che stiamo illustrando. Ecco perché i «Governatori della Fraterna dei Poveri Vergognosi, come commissarii di Scipione Bardi», notificarono nel 1661 ai X Savii sopra le Decime in Rialto, esistere a S. Marta «diverse casette una drido» (dietro) «l'altra, nelle quali stanno dieci povere Orsoline, cioè una stanza per una, che si danno loro per l'amor di Dio». A queste femmine i Governatori medesimi contribuivano eziandio quanto si ricavava da altri beni della suddetta commissaria, purché insegnassero «la Dottrina Cristiana ogni giorno festivo il dopo desinare in chiesa di Santa Marta alle povere fanciulle della contrada di S. Nicolò». Per disposizione del Bardi, le ricoverate si trasceglievano dapprima fra le vedove, non eccettuate quelle che avevano figlie, ed anche figli, non oltrepassanti i sei anni d'età. Ma poscia nel 1580, essendosi scorto che il ricoverare vedove con figli originava degli inconvenienti, si stabilì che ne dovessero essere senza, e che insieme si accettassero vergini della compagnia coll'incarico a tutte di educare povere orfanelle. L'elezione di tali donne, oltreché ai Governatori della Congregazione dei Poveri Vergognosi, spettava alle dame governatrici della Compagnia di S. Orsola, la quale contava molte affigliate, dimoranti anche nelle loro proprie case, ed aveva altare sacro a S. Orsola, decorato da una pala del Tintoretto, nella chiesa degli Incurabili. Anche a San Gallo esiste una «Corte dell'Orsoline» perché qui eravi un ospizio per cinque povere, chiamate «Orsoline» per la speciale ragione che le cinque casette, ove abitavano, si eressero nel 1581 in sostituzione dell'ospitale Orseolo, fondato dal doge Pietro Orseolo presso il campanile di San Marco, e di là rimosso quando si vollero fabbricare le Procuratie Nuove. L'ospizio di San Gallo era sotto la giurisdizione del doge, che, per dirigerlo, eleggeva un prete secolare, detto priore di S. Gallo, provveduto di mille ducati annui di rendita coll'obbligo di darne 50 a ciascheduna delle ricoverate. Questo ospizio venne non ha molto soppresso. Orto (Corte dell') in Ghetto Vecchio. In questa Corte non selciata, ed in cui verdeggia l'erba, c'è ancora l'indizio d'una antica ortaglia. Anche a S. Lorenzo vi è una «Calle dell'Orto» perché conduce tuttora ad una casa con orto. Giova qui ricordare che, specialmente nel secolo XVI, Venezia era ricchissima di orti e giardini, fra i quali avevano rinomanza quello degli Erizzi a San Canciano, circondato da bellissime fabbriche, quello dei Michieli ai Santi Gervasio e Protasio, quello dei Buoni a Sant'Angelo, adorno di fontane e di piante rare, ed altri non pochi. Né paghi i Veneziani d'averne in città, ne vollero nelle isole circonvicine, e specialmente a Murano, ove si rese celebre quello d'Andrea Navagero, rammentato più volte nelle lettere di questo autore, e dei suoi eruditi amici. Oscura (Sottoportico e Calle) a San Matteo. Vedi Scura (Ramo e Corte). Osmarin (Fondamenta, Fondamenta dell') a S. Provolo. Crediamo che queste due fondamente, l'una posta di faccia all'altra, piuttosto che dall'«osmarin», o rosmarino, nota pianta odorifera, abbiano ricevuto il nome dalla famiglia Osmarin. La seguente annotazione mortuaria fa prova dell'esistenza di tale famiglia in Venezia: «Adì 10 Marzo 1680. Francesca r.ta del q. Francesco Osmarin d'anni 65 in circa, da febbre maligna giorni 8, senza medico, farà sepelir M.r Battista suo fratello - S. Antonin». Ospitale (Calle dell') a San Giobbe. Giovanni Contarini patrizio veneto e sacerdote, quel desso che si può chiamare il fondatore del monastero di S. Girolamo, ordinò nel 1378 uno spedale, ovvero ospizio, per poveri in parrocchia di S. Geremia sulla fondamenta che guida alla laguna. La fabbrica fu compiuta nel 1380, e nel 1389 ampliata, aggiuntavi anche una chiesetta sacra a S. Giobbe. Venuto a morte il Contarini nel 1407, lasciò i suoi beni all'ospizio, e comandò di venire sepolto nella chiesetta. Lucia di lui figlia, rimasta, per ragioni dotali di sua madre Elisabetta, padrona del luogo, vi prepose un priore, e nel 1422 nove governatori. Vi accolse eziandio nell'anno medesimo alcuni eremiti di S. Girolamo, e nel 1428 i Minori Osservanti, i quali, avendo ottenuto in piena proprietà l'oratorio, lo incorporarono in seguito nella chiesa che s'accinsero ad erigere in onore di S. Giobbe. Vedi S. Giobbe (Fondamenta ecc.). Questa fu la cagione per cui nel 1512 i governatori dell'Ospizio fondarono, a comodo del medesimo, un oratorio novello dedicato alla B. V. ove trasportarono le spoglie del Contarini. L'ospizio di S. Giobbe, verosimilmente fino dalla sua origine, venne diviso in due corpi separati, l'uno di qua del «Ponte della Saponella», accanto l'oratorio, ove s'apre la «Calle dell'Ospitale» presa per tema del presente articolo; l'altro di là del ponte, ove scorgesi una Corte pur essa «dell'Ospitale» denominata. La Descrizione della contrada di S. Geremia pel 1713 chiama il proprio riparto Ospital delle Vecchie, registrandovi varie casette concesse gratuitamente dalla commissaria Contarini a povere vecchie, ed il secondo «Ospital della Croce», registrandovi altre casette destinate a poveri. In ambidue i luoghi stanno scolpite sui muri epigrafi allusive collo stemma della famiglia Contarini. Che poi questa divisione fosse antica, se lo può dedurre dal testamento di Bartolammeo Bragadin 16 giugno 1480, in cui egli fa menzione, allo scopo di beneficarli, degli «Hospedali de S. Jopo qual son do, zoè due Hospedali, l'uno arente la chiesa, l'altro in cavo del squero». Vedi Cicogna («Inscr. Ven., vol. VI»). Il pietoso istituto del Contarini esiste ancora. Riferisce il Sanudo: «E' da saper domenega» (17 febbraio 1515 M. V.) «seguite un caso che appresso S.to Iob è una chiesuola con un hospital de cha Contarini, et era uno campanil, et perché feva nocumento ali frati, parse al Guardian di farlo ruinar armata mano, et cusì la note andata più di XX frati lo ruinarono fino su le fondamenta, et inteso questo la Signoria, adì, 19 il principe, fatto venir dito Guardian, et frati in collegio, li fece grandissimo rebuffo, et ordinò lo dovessero rifar, come l'era prima, a tutte loro spese, e poi agitassero quello volessero, perché niuno in questa terra se deve far rason da lori medemi». Ospitaletto (Calle dell') alla Giudecca. Un «Piero Brustolado», con suo testamento 1° dicembre 1316, fondò in questa situazione un ospitaletto, ovvero ospizio, sotto il titolo di S. Pietro, per dodici poveri infermi. Esso, come appare dall'epigrafe esterna, venne rifabbricato nel 1568. Dietro terminazione dei Procuratori «de Supra» 1° luglio 1589, lo si destinò poi a donne inferme e povere, esclusi gli uomini. E dodici povere tuttora vi si ricettano, alle quali è concesso inoltre un piccolo mensuale assegno. Vedi in questo proposito anche l'opuscolo del Battagia col titolo: «Cenni storici e statistici sopra l'isola della Giudecca. Venezia, Merlo, MDCCCXXXII». Ostreghe (Ponte, Rio, Fondamenta, Sottoportico, Calle delle) a S. Maria Zobenigo. Probabilmente dalla vendita che qui presso facevasi di ostriche, noti crostacei marini. Sulla «Fondamenta delle Ostreghe» Giovanni Gallo eresse nel 1815 un'arena teatrale, che nel 1823 venne distrutta. Otturati (Corte) a S. Giustina. «Otturati» è per certo cognome di famiglia. Quando poi essa qui domiciliasse, o possedesse stabili, ignoriamo. |
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